sabato 16 aprile 2011

Romanzi a New York #45: Giuseppe Prezzolini Diario 1942-1968


In questo blog sono già apparsi alcuni degli intellettuali italiani che nella prima metà del secolo scorso "si esiliarono" a New York. Dopo Giuseppe Antonio Borgese, Marcella Olschki e Lia Spezzano è il momento di una delle firme più importanti della nostra cultura del novecento: Giuseppe Prezzolini (1882-1982).
Il suo secondo volume di Diari, quello che va dal 1942 al 1968, è vissuto per tre quarti nella città di New York e la vita personale dello scrittore con le sue riflessioni si intrecciano nel vissuto della città sino al 1961, anno in cui l'autore rientra in Italia per trasferirsi sulla costiera amalfitana.
Prezzolini effettua il suo primo viaggio negli Stati Uniti d'America nel 1923, per un corso estivo alla Columbia University di New York. Dopo un intervallo parigino, lo scrittore ritorna in America nell'estate del 1927 per altri corsi e nel 1929 ottiene un incarico annuale assumendo la direzione della Casa Italiana presso la Columbia University. Nel gennaio 1940 diventa cittadino americano e dà le dimissioni da direttore della Casa Italiana ma continua ad insegnare alla Columbia University e nel 1948 l'ateneo newyorchese lo nomina "professore emerito".
Personaggio controverso, arguto e feroce critico della società, amava definirsi "anarchico conservatore", quasi compiacendosi della evidente contraddizione. Il suo diario newyorchese racconta fatti, progetti, testimonianze, amori, idee. Vaga e divaga con la mente e per la città e descrive anche un Italia vista da lontano che a volte è molto più rivelatrice di chi l'ha narrata in patria. Ricordiamo, ad esempio, che dobbiamo a lui la frase "In Italia nulla è stabile fuorché il provvisorio". Prezzolini vive a New York senza entusiasmarsi per la Grande Mela e per i newyorchesi, ma ne comprende la forza dei mille aspetti ed etnie. Subisce volentieri i molti momenti piacevoli, tenta di sdrammatizzare qualche acciacco di salute, apprezza le improvvise e gradite aperture climatiche ("è così bello il tempo che mi fa paura"), ed è sensibile, spesso ricambiato, al fascino femminile: "Ore deliziose con l'amica, ma la delizia consisteva nello stare insieme, mangiare un sandwich, vedere un film di Hitchcock ben fatto."
La grandezza di New York, la sua complessità abbinata alle grandi speranze che rappresenta finisce nei pensieri e negli scritti dell'autore:
"Anche New York era, o poteva essere una biblioteca: tutte quelle vite, quei tentativi di vita, quei finali di vita, quelle ascese, discese, quei tramonti rapidi di improvvise aurore, quel formicolare di desideri infiniti..."
Prezzolini stesso deve affrontrare più di un problema politico con le istituzioni americane, difficoltà che così sintetizza il 24 aprile del 1943: "Curioso: dall'Italia dovetti andare via perché non ero d'accordo con la maggioranza; e qui mi vogliono cacciare perché non approvo la maggioranza. Viva la libertà, vive il vivere moderno".
Questo Diario, nonostante le sue cinquecento e passa pagine scorre via senza il minimo acceno di noia, la scrittura di Prezzolini è "alta" e comunicativa allo stesso tempo. A volte basta una riga per raccontare una giornata altre volte sono necessarie tre pagine. Ma l'intensità, la profondità del pensiero è costante a prescindere dal numero di battute. L'autore, come è giusto che sia in ogni diario, ci rivela non solo le sue passioni e le sue opinioni ma non nasconde i suoi egoismi, il cinismo e l'analisi, a volte spietata, degli eventi.
La copia proposta nell'immagine è la prima edizione del 1980 ed è un libro da recuperare e da riscoprire, come tutta l'opera dell'autore.
Giuseppe Prezzolini - Diario 1942-1968, Rusconi, 1980